Facciamo una premessa: in psicologia, il termine diagnosi può indicare qualunque tipo di inquadramento di una persona, anche quando questo inquadramento non rientra nella psicopatologia. Bisogna differenziare infatti la diagnosi nosografica, che spesso facciamo coincidere con una specifica descrizione o etichetta che rimanda ad una serie di sintomi e che possiamo assimilare alla diagnosi psichiatrica e la diagnosi funzionale, che semplicemente ci da una panoramica di come funziona un individuo.
In questi termini, quindi, non è errato utilizzare il termine diagnosi, ma questa parola ha assunto un significato comune considerato troppo patologizzante, pertanto solitamente cerchiamo di evitarla o di contestualizzarla.
Le linee guida internazionali più aggiornate (SOC 8 – WPATH 2022) sulla salute delle persone transgender dicono, infatti, che per riconoscersi in una identità trans e intraprendere un percorso di affermazione di genere non c’è bisogno di ricevere alcuna diagnosi di disforia da parte di unə professionista e viene posta molta più enfasi sulle capacità della persona di autodeterminarsi e di dare un consenso informato.
Attenzione però: le linee guida internazionali si basano su criteri clinici scientifici che, purtroppo, non si trasformano automaticamente in prassi in tutti i Paesi del mondo. La libertà di autodeterminazione delle persone trans, infatti, come quella di altre categorie è ancora fortemente limitata dalle istituzioni in alcuni Paesi, quali ad esempio l’Italia.
Cosa possono fare, dunque, lə professionistə?
Per mantenere come obiettivo centrale il benessere della persona, è necessario integrare le queste linee guida alle pratiche consentite e collaudate nel proprio territorio di riferimento, ricordando che ogni percorso di affermazione dev’essere “su misura” della persona che lo intraprende, pertanto alcuni modi con cui lə professionistə possono accompagnare e facilitare questo percorso sono:
- non fare gatekeeping: ovvero non porre condizioni (arbitrarie e non supportate dalla letteratura scientifica) che ostacolino l’accesso al percorso di affermazione di genere, soltanto perché si ha il potere farlo.
- non patologizzare l’incongruenza o la disforia di genere e validarle sempre: esse sono parte dell’identità e delle esperienze della persona, non sta allə professionista assegnarle il “bollino transgender”. L’incongruenza di genere e la disforia di genere non si indagano, inoltre, con test psicodiagnostici.
- poiché in Italia è necessario un percorso psicologico prima di iniziare la terapia ormonale, non farlo durare più del necessario: l’obiettivo dellə psicologə è quello di accompagnare la persona in questo cambiamento, nelle modalità e nei tempi per lei più comodi e benefici, approfondendo eventualmente condizioni psicopatologiche pre-esistenti che possano interagire con l’inizio di una terapia ormonale e capendo come gestirle insieme alla persona. Nessuna linea guida riconosciuta prevede un tempo prestabilito per la valutazione psicologica pre-terapia ormonale.
- utilizzare termini condivisi nei documenti ufficiali: se utilizzare il termine “diagnosi” e fare riferimento al DSM-5 su un documento ufficiale può aiutare altre figure professionali (medicə, avvocatə, giudicə) a comprendere meglio l’esperienza della persona e le sue necessità, il loro utilizzo potrebbe facilitare e velocizzare un percorso già sufficientemente lungo e tortuoso.
In sintesi, il compito dellə psicologə è quello di accompagnare la persona in questo percorso, aiutandola a definirne modalità e tempi a seconda delle circostanze individuali, a gestire il cambiamento e ad attingere alle sue risorse personali e sociali con l’obiettivo di massimizzare il suo benessere.